mercoledì 24 febbraio 2010

Un'altra festa era finita.

Le mani sottili spostano i suoi rossi capelli, le erano finiti sugli occhi. Il leggero vento, quella mattina d'inverno, li aveva un po' scombinati.
Il suo brillante sorriso stonava con gli abiti sporchi e lisi che era costretta ad indossare.
Quella sua larga canottiera bianca lasciava intravedere i suoi seni: erano così belli.
Era tanto splendida lei quella mattina, d'una bellezza pura e limpida.
Stava in piedi; dietro di lei una lunga coda di auto, quella proprio alle sue spalle era rossa.
Ai margini della strada solo coriandoli e bottiglie di vetro.
In un angolo, di fronte alla saracinesca abbassata della gioelleria più bella del quartiere, John dormiva ancora. Il suo cane veniva accarezzato da qualche passante; poche persone che quella mattina non erano corse in ufficio, che erano scese in strada per godere la tristezza.
Il cielo e grigio e forse un po' cupo in quella mattina d'inverno.
La ragazza non si era mossa: era al centro della strada, intenta a fermare il tempo.
Aveva fatto le scale frettolosamente quella mattina, aveva deciso finalmente di lasciare per sempre l'appartamento in città. In frigo era rimasta la torta che Anne, sua madre, le aveva portato dalla provincia la sera del suo ventesimo compleanno.
Ferma nel traffico adesso , tra i suoni dei clacson, ripensava a suo padre.
Era immobile e non sentiva alcun rumore.
Lei dava le sue magre spalle a quella fila di auto impazzite.
Io ero seduta lì per terra, proprio di fronte a lei. Con le gambe incrociate e molta vergogna la guardavo. Con i suoi occhi di ghiaccio mi fissava, aveva perso il suo sorriso ora.
Il fumo delle auto faceva bruciare i miei occhi, così ho preferito chiuderli.

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